lunedì 15 settembre 2014

Musei e Didattica

Nel 2005 Hooper-Greenhill, in un suo illuminante lavoro – I Musei e la formazione del sapere, ed. Il Saggiatore - affermava che nella sostanza il concetto “Museo” non esiste. Non esiste cioè “il museo” come entità precostituta e identica a se stessa, non solo nei diversi periodi storici, ma anche nei diversi luoghi geografici e nelle diverse cerchie culturali.
Non è possibile trovare due musei che espongano, lavorino, pensino e vivano nello stesso identico modo in nessuna parte del mondo. Persino ogni singola realtà museale non è mai simile a se stessa, ma muta e si evolve con il mutare e l’evolversi delle identità socio-culturali e politiche in cui essa è immersa e con il mutare dei loro gusti e inclinazioni, che lo spingono a ricercare soluzioni e risposte alle aspettative e richieste che di volta in volta gli vengono poste: se in qualcosa ogni singolo museo si può riconoscere è proprio in questo  suo continuo e diverso mutare sotto la spinta di complessi e intricati processi interni ed esterni a se stesso.
Discutere, pertanto, in modo generico sui musei non conduce a granché, poiché essi sfuggono ad ogni qualsiasi generalizzazione, tanto che i sempre più maldestri tentativi di targhettizzarli, sulla base delle diverse nature espositive, in archeologici, storici ecc., o peggio, in grandi e piccoli, in statali e non, in pubblici e privati, non solo sono inutili ma anche limitanti e per nulla chiarificatori della natura e delle finalità dei singoli musei inscritti nelle diverse categorie.


Così come limitante e stravecchia è la definizione più comune e classica di Museo quale luogo della memoria (leggetelo con enfasi per favore), che, privilegiando il ruolo conservativo ed ostensorio delle collezioni, ha di fatto creato un profondo solco tra le figure di retrobanco e quelle impegnate sul front-line, vale a dire tra i conservatori, restauratori ecc. e gli educatori e le altre figure addette all’erogazione dei servizi.
Ciò ha portato, nel tempo, a banalizzare azioni di servizio erogativo intimamente legate all’essere Museo e, per loro stessa natura, derivanti dalle attività di conservazione, ricerca e studio - come l’azione educativa ed in particolare le attività didattiche rivolte al mondo scolare -, per confonderla con altre che nel frattempo venivano riconosciute e formalizzate dalla legge italiana come “servizi accessori”. 
Una simile confusione ha portato nel decennio appena trascorso - non so quanto furbescamente o meno, di certo non argutamente - al reclutamento periodico e saltuario di figure addette ai servizi didattici come fossero professionalità marginali e provvisorie (ricordate i “co.co.pro”? i tanti giovani laureati e spesso con master e altri studi specifici?) o, soluzione molto perseguita di questi tempi, all’affidamento all’esterno di tali servizi opportunamente impacchettati come “servizi accessori museali”, in pratica tra i servizi di bookshop, bar-caffetteria, gadget e souvenir. Da trasalire, ma così è andata e così sta ancora andando, sottaciuto da tutti, mentre imperversano battaglie - giustissime a mio parere, ma a latere dei veri problemi dell’istituto museo in Italia (e non solo) – sulla foto sì foto no, social sì social no, sito brutto sito bello. Badate, non ho nulla verso la presenza del privato nei Musei, anzi ritengo sia oggi indispensabile, ma debbono essere ricercate e trovate forme di collaborazione tale che la mission del privato coincida perfettamente con quella del Museo e non viceversa; e soprattutto, in merito ai servizi didattici, non certo per affrancarsi, finalmente, da quel fastidioso onere di non dover più garantire direttamente professionalità educative "ad hoc", ma per potenziarne l'efficacia. 


L’indagine ISTAT 2013 mostra, però, che le attività didattiche museali godono ottima salute: l’80% dei Musei le pratica in modo costante e quotidiano. Ottimo! Stiamo migliorando e crescendo. Ma se si vanno a leggere i dati incrociati di quell’indagine (bisogna armarsi di santa pazienza e di tempo da perdere), le cose si ingarbugliano notevolmente: perché la percentuale scende drasticamente nelle risposte a domande specifiche: presenza di spazi e strumenti didattici, figure con formazione in didattica museale, apertura quotidiana nel periodo scolastico, accoglienza di stage e tirocini, studi, sperimentazioni e pubblicazioni in ambito didattico ecc. La domanda è: com’è possibile allora che tanti musei italiani eroghino servizio didattico senza figure adatte o senza spazi e strumenti, o senza le une e gli altri, o addirittura stando chiusi durante il periodo scolastico? Vuoi vedere che…la noiosa, opprimente, delirante visita guidata a gruppi scolari, un tempo affidata all’occhialuto usciere-cicerone, sia stata, in molti luoghi, promossa ad attività didattica? 


L’azione didattica di un Museo, permettetemi, è ben altra cosa e MuseumSchool vuole condividerla con voi.

Periodicamente su questo blog i Musei che si riconoscono nella loro azione educativo-didattica esporranno figure, spazi, strumenti, progetti e attività nei confronti delle scuole e twitteranno con voi ogni lunedì.

    Medica Assunta Orlando

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