Nel 2005 Hooper-Greenhill,
in un suo illuminante lavoro – I Musei e la formazione del sapere, ed. Il Saggiatore - affermava
che nella sostanza il concetto “Museo”
non esiste. Non esiste cioè “il museo”
come entità precostituta e identica a se stessa, non solo nei diversi periodi
storici, ma anche nei diversi luoghi geografici e nelle diverse cerchie
culturali.
Non è possibile trovare
due musei che espongano, lavorino, pensino e vivano nello stesso identico modo
in nessuna parte del mondo. Persino ogni singola realtà museale non è mai
simile a se stessa, ma muta e si evolve con il mutare e l’evolversi delle
identità socio-culturali e politiche in cui essa è immersa e con il mutare dei
loro gusti e inclinazioni, che lo spingono a ricercare soluzioni e risposte
alle aspettative e richieste che di volta in volta gli vengono poste: se in
qualcosa ogni singolo museo si può riconoscere è proprio in questo suo continuo e diverso mutare sotto la spinta
di complessi e intricati processi interni ed esterni a se stesso.
Discutere, pertanto, in modo generico sui musei non conduce a granché, poiché essi sfuggono ad ogni qualsiasi
generalizzazione, tanto che i sempre più maldestri tentativi di
targhettizzarli, sulla base delle diverse nature espositive, in archeologici,
storici ecc., o peggio, in grandi e piccoli, in statali e non, in pubblici e
privati, non solo sono inutili ma anche limitanti e per nulla chiarificatori
della natura e delle finalità dei singoli musei inscritti nelle diverse
categorie.
Ciò ha portato, nel tempo, a banalizzare azioni di servizio erogativo intimamente legate all’essere Museo
e, per loro stessa natura, derivanti dalle attività di conservazione, ricerca e
studio - come l’azione educativa ed in particolare le attività didattiche
rivolte al mondo scolare -, per confonderla con altre che nel frattempo venivano
riconosciute e formalizzate dalla legge italiana come “servizi accessori”.
Una
simile confusione ha portato nel decennio appena trascorso - non so quanto furbescamente o meno, di certo non argutamente - al
reclutamento periodico e saltuario di figure addette ai servizi
didattici come fossero professionalità marginali e provvisorie (ricordate i
“co.co.pro”? i tanti giovani laureati e spesso con master e altri studi specifici?) o, soluzione molto perseguita di questi tempi, all’affidamento
all’esterno di tali servizi opportunamente impacchettati come “servizi
accessori museali”, in pratica tra i servizi di bookshop, bar-caffetteria, gadget e souvenir. Da trasalire, ma così è andata e così sta ancora andando, sottaciuto da
tutti, mentre imperversano battaglie - giustissime a mio parere, ma a latere dei
veri problemi dell’istituto museo in Italia (e non solo) – sulla foto sì foto
no, social sì social no, sito brutto sito bello. Badate, non ho nulla verso la presenza del privato nei Musei, anzi ritengo sia oggi indispensabile, ma debbono essere ricercate e trovate forme di collaborazione tale che la mission del privato coincida perfettamente con quella del Museo e non viceversa; e soprattutto, in merito ai servizi didattici, non certo per affrancarsi, finalmente, da quel fastidioso onere di non dover più garantire direttamente professionalità educative "ad hoc", ma per potenziarne l'efficacia.
Periodicamente su questo
blog i Musei che si riconoscono nella loro azione educativo-didattica esporranno figure, spazi, strumenti, progetti e
attività nei confronti delle scuole e twitteranno con voi ogni lunedì.
Medica Assunta Orlando
Nessun commento:
Posta un commento